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Tfr, il coefficiente di ottobre è 9,018362

29/11/2022

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A ottobre il coefficiente per rivalutare le quote di trattamento di fine rapporto (Tfr) accantonate al 31 dicembre 2021 è 9,018362. L'articolo 2120 del Codice civile stabilisce che, alla fine di ogni anno, la quota di Tfr accantonata deve essere rivalutata.
Per determinare il coefficiente di rivalutazione del Tfr, o delle anticipazioni, si parte dall'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati "senza tabacchi lavorati" diffuso ogni mese dall'Istat.
In particolare, si calcola la differenza in percentuale tra il mese di dicembre dell'anno precedente e il mese in cui si effettua la rivalutazione. Poi si calcola il 75% della differenza a cui si aggiunge, mensilmente, un tasso fisso di 0,125 (che su base annua è di 1,500). La somma tra il 75% e il tasso fisso è il coefficiente di rivalutazione.
L'indice Istat per ottobre è 117,2. La differenza in percentuale rispetto a dicembre 2021, su cui si calcola il 75%, è 10,357815. Pertanto il 75% è
7,768362.A ottobre il tasso fisso è 1,250. Sommando quindi il 75% (7,768362) più il tasso fisso (1,250), si ottiene il coefficiente di rivalutazione: 9,018362.

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Parità cambio Euro / Dollaro, la lotta continua…

20/9/2022

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Se chiedete agli investitori quali dinamiche finanziarie hanno caratterizzato maggiormente il 2022, molti probabilmente diranno l'andamento dei tassi d'interesse, la volatilità delle materie prime, il calo congiunto di azioni e obbligazioni che ha portato ad uno sbilanciamento dei fondi di investimento misti, o la correzione del mercato azionario. Pochi però parlerebbero delle straordinarie dinamiche che hanno interessato le principali valute mondiali.
La visibilità data ai tassi d'interesse a seguito di un'inflazione in crescita e di forti dichiarazioni delle banche centrali, così come quella data alle materie prime a seguito della guerra in Ucraina, ha messo in ombra l'entità dei movimenti valutari
e il loro impatto sui rendimenti dei portafogli. Basti pensare al rapporto
Euro – Dollaro che dopo 20 anni ha raggiunto il pareggio: 1 Dollaro è arrivato
a valere quanto 1 Euro.

In teoria, il tasso di cambio di lungo periodo tra due valute è influenzato dall'andamento del differenziale del tasso di inflazione tra i due Paesi: la nazione
con l'inflazione più alta è probabile che veda la propria valuta deprezzarsi rispetto all'altra, poiché i tassi di cambio dovrebbero garantire (sempre nel lungo periodo)
la parità del potere d'acquisto delle due valute.

Tuttavia, nel breve-medio periodo, i tassi di cambio sono più sensibili alla differenza dei tassi di interesse a breve termine e all'ammontare della base monetaria immessa nel sistema: il paese con i tassi a breve termine più alti e quello con meno base monetaria dovrebbe vedere la propria valuta rafforzarsi.
A causa dei livelli di inflazione molto simili tra Europa e Stati Uniti, il differenziale dei tassi è stato il principale motore dell'evoluzione del cambio euro/dollaro.
La recente debolezza dell' Euro può essere pienamente spiegata dai più rapidi rialzi dei tassi della Federal Reserve rispetto alla BCE. Gli USA hanno già rialzato i tassi
di interesse del 2,25 - 2,50 % e sono in procinto di alzarli di nuovo (nuovo dato
sull’ inflazione americana +8,3%). Rialzo tassi vuol dire anche rialzo dei rendimenti sugli investimenti che diventano più appetibili. Viceversa in Europa siamo in ritardo su questo fronte e le aspettative di recessione potrebbero far rivedere il piano
di rialzo tassi da parte della BCE. 

Inoltre c’è pessimismo per l’economia dell’Europa: per il mercato sembra inevitabile non andare in recessione (una variazione negativa del PIL per due trimestri consecutivi), causata dall’impatto della crisi energetica che non incide negli USA perché autonomi. E’ necessario anche considerare che la BCE ha aumentato il proprio bilancio (base monetaria) al 70% del PIL dell'UE mentre la Fed non ha superato il 38% del PIL statunitense.
Vi è poi una motivazione «meccanica» e si applica non solo al tasso di cambio euro/dollaro, ma a tutti i tassi di cambio delle varie valute con il dollaro:
nei periodi di aumento della volatilità e/o di avversione al rischio, il biglietto verde tende a rafforzarsi. Il mercato finanziario mondiale ragiona in termini di dollaro,
per cui in caso di volatilità le richieste vengono tipicamente fatte in dollari,
con conseguente aumento della domanda di dollari. Allo stesso modo, quando
gli operatori di mercato riducono la leva finanziaria, vendono tipicamente gli asset più volatili (spesso denominati in valute diverse dal dollaro) e riconvertono tutto
in dollari. La valuta americana è considerata un porto sicuro nei momenti di crisi
e di instabilità finanziaria, come quelli che stiamo vivendo, perché la si considera più solida rispetto alle altre.

 
Tra le principali conseguenze della parità euro-dollaro ci sono le esportazioni, avere una moneta debole significa poter esportare con più facilità i propri prodotti verso Paesi che acquistano, invece, con una moneta forte. Questo concorre a rendere più competitive le imprese europee, al netto però dell'inflazione, la cui impennata rischia di annacquare l'effetto del cambio.
L'altra faccia della medaglia è rappresentata da importazioni più costose,
perché chi acquista lo fa con una moneta più debole. Questo vale per chi compra prodotti hi-tech realizzati negli Usa, ma anche per le imprese che utilizzano forniture statunitensi o comunque negoziate in dollari. I rincari energetici già
ci sono stati. Ma certo il rafforzamento del dollaro sull'euro non aiuta, ad esempio, per l'acquisto di petrolio: la quotazione del barile è da sempre fatta con il 'biglietto verde'. A questo si aggiunge il fatto che, per compensare le minori forniture di gas russo, l'Italia ha ad esempio previsto maggiori importazioni di gas liquido dagli
Stati Uniti. 

Per quanto riguarda il turismo, saranno meno convenienti i viaggi e gli acquisti
negli Stati Uniti ma, al contrario, visitare l'Europa sarà più conveniente per i turisti americani. E questo, vista la forte ripresa dei flussi turistici e il sostegno che questi garantiscono a vari settori dell’economia europea, può rappresentare un vantaggio.

 
Sulla base di quanto detto, sebbene nel medio termine questi fattori possano ancora sostenere il dollaro, nel breve termine sembra possibile un ritracciamento del biglietto verde rispetto a tutte le principali valute, data l'ampiezza e la linearità del movimento degli ultimi mesi. L'atteggiamento più aggressivo della BCE, che potrebbe spingere l'euro al rialzo, potrebbe essere il catalizzatore di un'inversione di tendenza. Se il dollaro USA si indebolirà in modo significativo, i mercati ex-USA e gli asset rischiosi in generale potrebbero godere di un buon andamento per un po' di tempo.

Luca 
Coccato

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